"Si non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum". Se non puoi combatterli, diventa loro amico, unisciti a loro, scriveva Giulio Cesare, a sottolineare il fatto che oltre (nel senso teutonico di über) la conflittualità, ovvero dove questa fallisce, tanto vale percorrere la strada dell'integrazione. Ma ci ha messo lo zampino quel mattacchione di Esopo, fra il sesto e il quinto secolo prima che il Salvatore calcasse questa terra, col suo epigone Fedro una manciata di secoli dopo a dargli man forte. Chi disprezza compra, sostiene un altro proverbio, ovvero desideriamo, in realtà, ciò che pubblicamente disprezziamo, o contro cui ci scagliamo. Del resto anche Freud ha detto che guardare/ammirare è un "incorporare con gli occhi", quindi "distruggere".

Povero Esopo, se sapesse quale (triste)  successo hanno avuto la sua volpe e la sua uva.

Dunque, qualche esempio. È ormai prassi consolidata che, nello svolgimento di un concorso pubblico, i non idonei sommergano le amministrazioni di ricorsi, di fatto bloccando la continuità delle procedure concorsuali a danno degli ammessi (il recente caso del concorsone per dirigenti scolastici ne è una chiara immagine, ma i casi non si contano). Anziché dolersi della propria inadeguatezza, eccoli li: la colpa è altrui. Stesso caso, restiamo in ambito scolastico, per brutti voti, o provvedimenti disciplinari: genitori inferociti, anziché interrogarsi sulla "pochezza" dei pargoli, irrompono nelle aule a protestare, quando non a malmenare insegnanti e présidi.

Parlare di ciò che avviene in ambito calcistico sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, ma basta citare quanto mi disse un caro amico di "fede" genoana: "non importa che vinca il genoa, l'importante è che perda la sampdoria (e ho detto tutto. I minuscoli sono intenzionali).

Ma torniamo alla cronaca recente, e addentriamoci in un terreno a dir poco minato. Da tempo abbiamo cominciato a vomitare un odio "sconclusionato" su quelle masse di diseredati dalla pelle scura che "ci invadono" e "vengono a rubarci il lavoro" o "a islamizzarci", quando anche "a prendersi le nostre donne" e che "ricevono aiuti, soldi e prebende" di ogni tipo e quantità (sulla qualità si tace, ma questa è un'altra storia). La verità è che vorremmo essere al posto loro.
Non sui barconi, o nei centri di accoglienza, è ovvio. Chi però non vorrebbe essere aiutato fattivamente nella ricerca di un lavoro e di un reddito dignitoso? Chi non sente che la nostra religione tradizionale sta cominciando a mostrare la corda (vogliamo parlare di Ior? Banco Ambrosiano? Preti pedofili? Emanuela Orlandi? Basta o vado avanti?). E pure la fede, quella sincera, che instilla rispetto amore e purezza, non sembra anche a voi che sia diventata un po' un atteggiamento di facciata? "Loro", invece, sono credenti ferventi, fino al martirio volontario. Sulle donne (parlo da uomo, quindi con una visione parziale delle cose) vien quasi da ridere. Siamo, noi uomini, una massa di "sfigati" afflitti da pinguedini, alopecie e scoliosità assortite. Ignoranti (talvolta) arroganti (spesso), malati di potere e di conflitti irrisolti con le italiche mamme, capaci di "comprare" ma non di "conquistare" (in senso erotico, naturalmente). Domanda: non ci piacerebbe avere quell'eleganza statuaria innata, quel fascino fiero, quel sorriso "birichino" e quella sicurezza interiore che inevitabilmente le "nostre" donne colgono nei fratelli neri? Chi non vorrebbe, infine, ricevere aiuti economici e sociali a fondo perduto e sentirsi tutelato e protetto? Nessuno? Non ci credo.

Spostiamoci ora in un ambito più locale e affondiamo il coltello nella proverbiale piaga. Genova è stata teatro nel 2018 di un evento catastrofico di quelli che lasciano il segno. Un'intera vallata ha visto sconvolti il proprio skyline, la propria viabilità, i traffici commerciali, il lavoro. In molti hanno avuto sconvolta anche la vita e la sua culla: la casa. In 43 la vita non ce l'hanno più. Nel bene o nel male questo ha provocato due macroeffetti degni di rilievo: una generosa corsa alla solidarietà e la presa di coscienza, da parte dei cittadini dell'area interessata, di avere esigenze sociali collettive e di essere una comunità. Ora in Val Polcevera si chiede più sanità pubblica, più servizi, più attenzione alla qualità della vita. E queste richieste pare che vengano ascoltate. Molte imprese hanno ricevuto aiuti economici, gli sfollati di "Via Porro" hanno ottenuto risarcimenti per la perdita delle loro case e dei loro mobili, la stampa documenta e racconta. Solidarietà cittadina? No. Basta sfogliare i social per veder riversare una marea di insulti all'indirizzo dei soggetti in questione. Chiedono attenzione all'ambiente, risposta: "avete vissuto nello smog e nella puzza per sessant'anni, adesso cosa volete?". Chiedono una ricostruzione che sia attenta ai valori ambientali e di salute pubblica, risposta: "basta polemiche, siete solo capaci a protestare perché fa comodo a qualcuno". Chiedono attenzione, aiuto e rispetto, ma sono solo dei rompicoglioni "che hanno avuto un sacco di soldi". Ebbene, chi non vorrebbe in tasca il valore della propria casa moltiplicato per un coefficiente "interessante"? Chi non vorrebbe essere risarcito per i disagi esistenziali che si porta appresso? Chi non vorrebbe attenzione e interventi di riqualificazione oggettiva per il proprio quartiere? Chi non vorrebbe più sanità pubblica e più efficiente? Nessuno? Non ci credo.

Queste cose ora toccheranno (forse) agli sfigati che hanno vissuto nella puzza e nello smog per sessant'anni, e chi non le può avere si incazza. Chi non supera i concorsi non avanza perché non è sufficentemente preparato, non perché il concorso è truccato; chi odia i migranti lo fa perché vorrebbe sentirsi più "accudito", non perché ci invadono.

Si odia qualcuno perché se non si può essere come lui… tanto vale combatterlo. E non si tratta di "mors tua, vita mea", che presuppone il conseguimento di un utile, di un vantaggio,di un accrescimento. Qui stiamo distribuendo odio gratuito, che cova nel disagio, nell'insoddisfazione, nella miseria culturale ed umana, nelle nostre debolezze, paure e ossessioni. Un odio inutile, però difficile da scrollarsi di dosso.