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"Fistiorbo ke fatica skrivere

 mi fa gia male tuti i diti"

© Umberto Eco, Baudolino, Milano, 2000

  

Tutti avremmo dovuto partecipare al funerale di Genova, ma senza moderazione, senza pacatezza, senza calma. Incazzati neri
 
Il 18 agosto 2018 abbiamo reso l’ultimo omaggio a una quarantina di caduti nella tragedia del viadotto Morandi, a Genova.
La parola “caduti” non è usata a cuor leggero, né a sproposito. Perché non sono “morti” o “vittime”, nel primo caso giunti più o meno naturalmente al termine della loro esistenza, nel secondo colpiti dalla casualità del fato; questi sono proprio caduti, uccisi in una guerra che da troppi anni insanguina il pianeta. Una guerra insensata che la Finanza, ovvero l’esercizio della ricchezza finalizzato alla produzione di altra ricchezza senza il tramite del lavoro, conduce contro l’Economia, ovvero la gestione della cosa pubblica con il fine ultimo del benessere collettivo. Tra i due contendenti, sparse nella “terra di nessuno”, le vittime, i caduti nell’esercizio del loro sacrosanto diritto al pieno godimento della propria esistenza, vuoi lavorando, vuoi andando in vacanza, in entrambi i casi muovendosi liberamente. Anche solo attraversando un ponte.
 
Questi caduti ci ricordano che è la finanza, al momento, a condurre il gioco. Le sue armi sono le privatizzazioni selvagge, i subappalti, le clientele, le holding “matrioska”, l’evasione e l’elusione fiscale, la logica del massimo profitto col massimo risparmio e chissà cos’altro. Sono armi che funzionano bene, altrimenti i viadotti non crollerebbero, sono armi potenti, altrimenti non farebbero tante vittime, sono armi subdole, perché vengono fabbricate a nostre spese facendoci credere che siano utili e necessarie. Sono armi politiche e religiose, perché hanno spinto gli stati ad abdicare alla loro funzione regolativa sacrificando il proprio patrimonio sull’altare del dio Mercato.
 
Intanto noi, la “carne da carrello”, i consumatori, gli utenti, nel nostro piccolo ci indigniamo, e inondiamo i social di invettive rivolte ora a un leader politico, ora alla fazione opposta, ora al vicino di casa, schierandoci fieramente quasi fossimo a una partita di calcio. Ma per fortuna ci sono loro, i saggi che ci invitano alla moderazione, a non far prevalere la rabbia, alla calma. In effetti a poco giova scannarci fra di noi: che sia colpa del governo D’Alema, che ha dato il via alle privatizzazioni, che Salvini sia una bestia, che Di Maio sia il re delle “bufale”, che “e allora il PD?” poco importa a chi adesso guarda il mondo da dentro una cassa, o a chi (e sono 600) deve dire addio alla propria casa perché si trova in “zona rossa”, sotto il moncherino di levante, o a chi non sa come mandare avanti la propria attività perché non riceve rifornimenti a causa delle strade interrotte. Tutti questi appelli alla moderazione, proprio qui a Genova, hanno un valore estremamente particolare. Genova, città pesantemente deindustrializzata, porto che faticosamente arranca nel mediterraneo, tasso di disoccupazione più alto del nord Italia, periodicamente inondata da tempestose acque alluvionali ma sempre composta e compìta, moderata, educata, solenne. Superba.
 
Il 18 agosto 2018 abbiamo celebrato l’ennesimo funerale di caduti sotto le macerie: questa volta un viadotto a Genova, ieri una scuola che avrebbe dovuto essere antisismica, in Abruzzo, domani chissà? L’importante è mantenere la calma, l’understatement, la compostezza. Ecco, io vorrei che il 18 agosto 2018 non avessimo celebrato soltanto le esequie di una quarantina di poveri cristi morti, anzi caduti, sotto i colpi di una guerra che non è la loro. Da genovese vorrei che fosse stato celebrato soprattutto il funerale definitivo di Genova, di quella vecchia Genova agonizzante, composta e compìta, moderata, educata. Superba. Il funerale di una città e della sua cultura immobilistica dominata dal “maniman”[1]. Un funerale al quale dovrebbero partecipare, arrabbiati, cattivi, risoluti, i pochi giovani rimasti, gli anziani che non hanno più punti di riferimento, le donne sempre più marginalizzate, le tute blu e i colletti bianchi sempre in attesa di vedersi estromessi dal micidiale “sistema produttivo”, gli studenti, e i loro professori, con poco futuro i primi e scarso credito i secondi.
Tutti dovremmo partecipare al funerale di Genova, ma senza moderazione, senza pacatezza, senza calma. Questa volta, incazzati neri.

 


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