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"Fistiorbo ke fatica skrivere

 mi fa gia male tuti i diti"

© Umberto Eco, Baudolino, Milano, 2000

  

Il web è pieno di pagine che ci insegnano a fare qualcosa. How To e Tutorial rimbalzano ossessivamente promettendoci di risolvere "in tre semplici mosse" qualsiasi problema o esigenza. Adesso tutti siamo potenzialmente in grado di fare tutto, con poco tempo, poca spesa e tanta soddisfazione. Ma siamo proprio sicuri che sia un vantaggio?

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Questi sono solo un numero ridottissimo di esempi, reali, presi da una rapidissima ricerca su Google. Le prime cose che saltano agli occhi sono la costante presenza di messaggi pubblicitari nelle pagine o in alternativa il fatto che la pagina stessa sia funzionale a pubblicizzare un’attività, e il linguaggio usato nei testi.

Da quando Google ha “imparato a leggere”, ovvero da quando il popolare motore di ricerca non si limita più a guardare le Keywords affogate nell’Html ma se le va a cercare direttamente nel testo visibile è stato tutto un fiorire di contenuti scritti ad hoc per soddisfare la sua brama di parole chiave e ottenere così un ranking alto. Un buon ranking significa avere tante visualizzazioni, quindi tanti “passaggi” dei messaggi pubblicitari contenuti nelle pagine grazie ai programmi Google Ads, quindi tanti introiti.

E qui cade la prima illusione: a meno che non si facciano milioni di visualizzazioni o non si vendano espressamente gli spazi, magari attraverso un’agenzia specializzata (cosa che riesce tanto più facile quanto più è alto il ranking) le cifre introitate sono per lo più spiccioli. Non siamo noi a guadagnare ma è Google, che vende gli spazi. E vendendone milioni ha il suo bel profitto.

Se non c’è pubblicità è la pagina stessa a pubblicizzare se stessa, ovvero l’attività di cui parla. In genere si conclude con un bel pulsante “contattaci”.

E qui cade un’altra illusione, con una semplice domanda: ma se mi hai appena detto come fare per arredare con gusto la mia casa in 10 passaggi, per quale ragione dovrei contattare te, architetto, che poi mi tocca anche pagarti? Meglio cercare un po’ online altre risorse gratuite che in poche mosse mi trasformano in un provetto arredatore d’interni.

Noi però ci occupiamo di contenuti, non di comportamenti, per cui arriviamo al dunque: il linguaggio.

Avendo imparato a leggere, il buon Google ha scoperto che è un’attività divertente e istruttiva; ama leggere, quindi, e lo fa con passione e impegno. Quindi disdegna tutte quelle pagine poverelle, con quattro frasine messe in croce, ma depreca anche i “pippottoni” di centinaia di migliaia di caratteri, magari senza neanche un grassetto. Si è andato così formando un vero e proprio “stile”, con regole e modelli ben precisi, che è diventato il faro della web content creation e della SEO. Uno stile fatto di ricorso ossessivo alle domande retoriche (se davvero vuoi imparare a fare il caffè, cosa ne pensi di leggere questa guida su come si fa il caffè?) che servono principalmente a sostenere il ricorso a continue ripetizioni delle parole (o frasi) che si vuole che Google interpreti come Keywords. Ma fatto anche di tonalità piatte, in modo che si possa leggere velocemente, e di continui rimandi finalizzati a far continuare la lettura, quindi la permanenza sulla pagina (che fa ranking), in attesa di giungere, finalmente, all’informazione cercata (leggi la lista di cose da fare per prepararti un buon caffè… più avanti trovi tutte le informazioni per e via discorrendo)

Pensandoci bene però la questione dei comportamenti ha anche un altro risvolto, un pochino più triste. Tutta questa abbondanza di informazioni su “come far da sé”, per quanto legittima, ha progressivamente eroso il patrimonio di competenze specialistiche che da sempre sono state appannaggio dei professionisti delle più varie discipline, col risultato da un lato di esautorare il professionista stesso, dall’altro di impoverirlo economicamente, essendo svilita la sua professionalità a qualcosa che chiunque può fare, quindi non vale la pena di retribuirla adeguatamente.

Ma si sa che le cose fatte in fretta, o senza saperle veramente fare, non sempre riescono al meglio. L'effetto dovrebbe essere che, in conseguenza della delusione, ci si rivolga a chi le cose le sa fare davvero e ha il tempo per farle, perché è il suo lavoro. Invece no. La disponibilità praticamente infinita di ogni tipo di informazione ci ha talmente riempiti di orgogliosa superbia che se qualcosa non è riuscito al meglio allora non val la pena di farla, tantomeno se bisogna pagare qualcuno per farla.

I responsabili di questo stato di cose siamo proprio noi “addetti ai lavori” (una parte, almeno): i professionisti delle arti e discipline, che ci siamo fatti abbagliare e abbiamo cominciato a condividere, spesso impropriamente, le nostre competenze, in un colossale paradosso. Per acquisire credibilità abbiamo regalato il nostro sapere, nella speranza che tale credibilità ci avrebbe portato clienti, e quindi lavoro, e quindi denaro. Ma a furia di regalare abbiamo abituato i nostri potenziali clienti e interlocutori alla gratuità e alla (supposta) facilità.

Quante volte ci siamo sentiti dire “tu sei un esperto, ci metti cinque minuti, trascurando che per “metterci cinque minuti” ci sono dietro anni di formazione, di prove, di esperienza, di maturazione e di sviluppo delle capacità personali? Tutte cose per le quali adesso nessuno è più disposto a tirare fuori un centesimo. Con buona pace del nostro lavoro.

Tanto da qualche parte c’è un tutorial. Lo trovo anche col telefonino.